MARCO MARTINELLI legge
Farsi luogo, pubblicato dalla casa editrice di Mattia Visani, ha come sottotitolo
“Varco al teatro in 101 movimenti”. «Varco come una breccia, una fessura che si apre, oggi che sembra tutto chiuso», dice Marco Martinelli. Non si riferisce solo al teatro: è il «pantano italiano
di questi ultimi trent’anni» che affiora. Scrive infatti in Farsi luogo: «Non c’è mai stata una seconda, una terza, una quarta Repubblica: si vivacchia in una eterna Tangentopoli, nel Reame della
Corruzione e della Truffa, nel Regno di Fandonia e Cerimonia». Come reagisce allora l’artista, cosa significa il “farsi luogo” nei “non luoghi”? «Dopo trent’anni di di teatro – risponde – “farsi luogo” significa non poter separare il creare spettacoli dal creare mondo, comunità, legami. Non mi è
sufficiente l’opera, gli spettacoli devono essere la punta scintillante dell’iceberg, ma sotto ci deve essere il mondo che tu crei con la tua energia». Un’attività che non si deve limitare al
cerchio degli spettatori, per diventare «una spirale che invade la città e mette le generazioni a contatto tra loro, attraverso i diversi linguaggi», continua Marco. «Così il teatro, non più un
passatempo serale un po’ nobile, torna al suo vero luogo, nel cuore della città e delle sue contraddizioni. Il grande teatro da Aristofane e Shakespeare fino a Brecht è stato questo: teatro e
società, teatro e polis. La dimostrazione che è ancora possibile che gli esseri umani si relazionino tra di loro là dove l’arte e la bellezza non sono separabili dalla sfera etica che non è una
categoria astratta, ma semplicemente è il rispetto dell’altro essere umano».
Nel libretto, «sgorgato da solo, in 3-4 mesi tra una tournée e l’altra», si parla di conoscenza (di “sete”) e di necessità di dialogo e di ascolto. Del resto, all’origine del Teatro delle Albe
c’è l’ “omaggio” agli asini «condannati ad ascoltare tutti i lamenti» con le loro grandi orecchie (Siamo asini o pedanti, del 1989). Ma oggi la cultura “normale” sostiene che la verità non esiste
e che è inutile cercare, facciamo notare. «Non è vero, io parlo invece di retta opinione. Anche se non la vediamo, comunque c’è!», dice ridendo. Poi spiega: «È un desiderio di conoscenza e di
amore allo stesso tempo. La sfera conoscitiva è indistinguibile da quella erotica, nel senso proprio affettivo: noi siamo carezze, siamo abbracci. Questa è la nostra sete e la nostra fame, non
certo quella di cui parlano i pubblicitari».